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LE TESTE DI PALLINO

Il 3 maggio 1911 nasceva a Noceto Carlo Brizzolara, ingegnere scrittore, giornalista e burattinaio. A 100 anni dalla nascita la famiglia vuole ricordarlo portando nella sua terra natale, l’Emilia, uno spettacolo a lui dedicato,  ideato e rappresentato dalla nipote Francesca Brizzolara, attrice piemontese. Protagonisti dello spettacolo sono i burattini di tradizione emiliana che Carlo costruì con i suoi compagni durante gli anni di prigionia passati in Africa, quando fu catturato dagli inglesi dopo la battaglia di El Alamein.

 

 

Ho riscoperto in questo lavoro un uomo, un nonno e un autore straordinario.

L’idea è nata dai burattini, quei burattini che ho sempre visto in casa chiusi negli scatoloni e che, mi dicevano, “sono quelli che il nonno si è portato dietro dal campo di concentramento”. Da anni con Alfonso Cipolla e Giovanni Moretti dell’Istituto per i Beni Marionettistici e il Teatro Popolare, ci si diceva che sarebbe valso la pena fare una mostra. Ma una mostra richiede un lavoro istituzionale che al momento non mi sentivo di affrontare. E così mi son detta: facciamo uno spettacolo.

E qui mi si è aperto un mondo. Mi sono immersa in una vita che è stata prima della mia, ma con la quale ho trovato tante analogie.  Ho scoperto che forse, se faccio teatro, c’è stata una radice prima, in qualcuno che ha amato molto il teatro anche come fonte di salvezza.

Ed è forse questo il messaggio più grande che ne traggo e che vorrei trasmettere al pubblico: che la creatività e la fantasia ti permettono di trasformare le cose e i momenti più difficili: “l’importante è inventarsi qualcosa”… e crederci con tutte le proprie forze.

Dunque ora presentiamo un lavoro sulla figura di Carlo Brizzolara, e in particolare sulla vicenda legata ai suoi burattini.

Li ho ripresi in mano, li ho fatti parlare, è stata una grande emozione e anche una grande fatica, perché non è facile vestire un burattino che ha quasi settant’anni, che è nato nel deserto e in pratica ha fatto la guerra. Là nel campo di prigionia questi pupazzi avevano un ruolo e un senso ben precisi: riportavano i soldati prigionieri a casa per un attimo, li facevano rivivere e sperare.

Ma se sono giunti fino a noi, quei burattini, un motivo ci sarà.

Carlo Brizzolara non li lasciò sotto la sabbia del deserto. Se li portò a casa.

Era partito nel ’42 con tanti buoni propositi, paracadutista della Folgore. Nella Folgore ci si arruolava da volontari. Dopo la prigionia, ritorna con una cassetta piena di burattini e forse con un’ idea un po’ diversa della guerra e della Patria, tant’è vero che tutte le sue opere posteriori sono assolutamente contro la guerra: “Il Pennacchio”, “Compania Zappatori”, per citarne alcune.

Sandrone stesso si chiede: “Ma cosa ci sarà andato a fare laggiù, il Carlìn, a sparare? Ma proprio lui?”

Quello che sappiamo per certo è che Carlo lascia laggiù la coperta da campo e altri effetti personali, per portarsi a casa Sandrone, la Polonia, Arpalasunda, la Minghina, ecc.

E così ancora una volta Arpalasunda danzerà sul filo, la Polonia darà a Sandrone dell’ubriacone tirandogli la scopa in testa e Sandrone ubriacherà la Morte. E proprio lei, la Minghina, dopo aver assaggiato il lambrusco dirà: “Per le trombe del giudizio! Questo sì che è, come dire? Vivere!”
Francesca Brizzolara
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